La mia scalata al Monte Bianco 1838
«Non fu la fama meschina di essere la prima donna ad aver arrischiato quel genere di avventura a darmi quell’euforia; fu piuttosto la consapevolezza del benessere spirituale che ne sarebbe conseguito».
Henriette d’Angeville
…Tale è il panorama dalla vetta del Monte Bianco, quell’insieme così imponente alla luce del sole più radioso. Quanto al cielo, era d’un azzurro cupissimo sulla nostra testa schiariva fino a diventar celeste all’orizzonte: ma i colori erano talmente fusi uno all’altro che sarebbe stato impossibile indicare i punti precisi del mutamento.
Quel cielo così straordinario, quel caos di montagna immani, quelle nubi traforate e sormontate dai picchi grigiastri, la neve eterna, il silenzio solenne di quel deserto, l’assenza di qualunque rumore, di qualunque essere vivente, di vegetazione e sopratutto di qualunque grande città la cui vista potrebbe ricordare che non ci si è allontanati dagli uomini, tutto, in una parola, si unisce per creare l’illusione di un mondo nuovo, di essere trasportati alle ere primigenie. Per un attimo ho creduto di assistere allo spettacolo della creazione che sorge dal grembo del caos. ”Ora che avete visto tutto ciò che si può vedere dalla vetta” mi disse Couttet “bisogna che andiate in luoghi ancora più alti del Monte Bianco.”
“C’è una strada che conduce di quì alla luna?”
“Vedrete”
E, presentandomi le sue mani unite a quelle di Desplan mi invitò a sedermi su quella seggiola improvvisata: lo feci indovinando la sua intenzione; allora i due montanari staccandomi dal suolo nevoso, mi sollevarono quanto fu possibile, e, con quella sorta di ovazione, mi fecero affettivamente arrivare in luoghi più alti del Monte Bianco e, non se ne dispiaccia l’orgoglio maschile, più in alto di tutti i miei predecessori.
..Ebbi la curiosità di come fossi io stessa; presi lo specchietto e mi spaventai: la faccia era enfiata naso e labbra gonfi, il bianco degli occhi tutto rosso e attraversato da vene sanguinolente di tonalità più cupa, la pelle era abbrustolita dal freddo… A parte quella maschera spaventosa stavo benissimo, fisicamente e spiritualmente. Prima di allontanarmi per sempre vergai sulla neve il mio aforisma preferito “Volere è potere”, poi diedi il segnale di partenza. Con dispiacere, direi quasi con rimorso, oggi ricordo quella partenza da ingrata, priva di ringraziamenti a Dio per il successo ottenuto. Avrei dovuto benedirlo e prostrarmi davanti alle opere che esibiva davanti ai miei occhi; ma l’immaginazione, colpita da quelle stesse meraviglie, s’impadronì di quell’aspetto poetico e dimenticò del tutto il sentimento religioso che un tal luogo avrebbe dovuto inspirare…in altri punti del percorso fui migliore.
Henriette d’Angeville – La mia scalata al Monte Bianco 1838
ed. Vivalda Editori